NON ANDRÀ TUTTO BENE. A PROPOSITO DI “FORCA E MELASSA” – DI LORENZO ZILLETTI
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di Lorenzo Zilletti
Una breve recensione di “Forca e melassa”, di Gaetano Insolera.
C’è posto anche per gli 883 e il misterioso assassinio dell’Uomo Ragno, nella fervida fucina di Gaetano Insolera. Tranquilli, Forca e melassa non è un fumetto della Marvel e neppure una retrospettiva sulla canzone italiana, così intrisa del secondo di quegli ingredienti. Il libriccino azzurro[1] prende di petto nientemeno che i rapporti tra politica, giustizia penale e comunicazione, in una vorticosa carrellata che trascina il lettore dalle acque insanguinate delle Arginuse (406 a. C.) e dal processo contro gli Στρατηγοί, fino ai giorni della pandemìa e del populismo penale digitale.
Fedele al convincimento che il giurista debba spingersi oltre le mura asfittiche del proprio giardino, custodi di diatribe teoriche tanto elevate quanto stucchevoli, Insolera insiste ad occuparsi di Potere, delle sue transizioni. Lo ha sempre interessato “il contesto reale delle cose”, per citare dal precedente suo Declino e caduta del diritto penale liberale[2], avvertendo naturale -per il penalista- onerarsi di questo “ufficio culturale”.
Il piccolo scrigno non consentiva trattazioni enciclopediche, ma le intersezioni cruciali della triade vengono sagacemente illuminate con lampi al magnesio. Quei bagliori disvelano una costante, così sintetizzata dalla bella prefazione di Marcello Gallo: la distorsione della giustizia penale da “congegno per garantire […] l’esercizio di libertà, la difesa del gruppo sociale e assieme delle persone che lo costituiscono, […] in arnese del potere”, in mezzo di lotta politica. Costante che, tuttavia, cerca di adattarsi ai mutamenti della storia, facendo assumere al binomio del titolo sembianze sempre diverse e tanto più insidiose quando dissimulate sotto il suadente volto del diritto (o dei diritti).
Guardare ai precursori funziona, dunque, come antidoto e conferisce ancor più efficacia alle pagine dedicate da Insolera all’impietosa analisi dell’oggi, al caveat verso chi mira ad illuderci insinuando che finirà tutto bene (ancora gli 883!).
Qualche suggestione, tolta dal libro, invoglierà ulteriormente alla lettura: Atene, secolo quinto a.C.; nei giorni delle Apaturie finti parenti delle vittime della pur vittoriosa battaglia delle Arginuse sfilano davanti alla Βουλή, le teste rasate e i mantelli neri. Lo scopo è influenzare i giudici che procedono contro gli strateghi filo Alcibiade, accusati dell’abbandono dei naufraghi. La commozione per un tragico evento, abilmente strumentalizzata, è il pretesto per liquidare l’avversario politico, servendosi della giustizia.
Parigi, 1898; tiene banco l’affaire Dreyfus: l’ufficiale fa le spese delle nostalgie autoritarie e revanchistes della casta militare, nonché di un pervasivo antisemitismo della società francese. La stampa, ostile o dreyfusarda, gioca un ruolo determinante nella controversa vicenda giudiziaria e il J’accuse assurgerà a paradigma dell’impegno degli intellettuali contro le verità di comodo del potere politico.
Tornando in Italia, il diverso atteggiarsi tra autoritarismo fascista e populismo, allo stato nascente e trionfante: due sistemi illiberali, con esigenze contrapposte. Il primo predilige la sordina sui fatti di criminalità, per accreditare la propria capacità di mantenere ordine e sicurezza sociale; il secondo si afferma e consolida alimentando l’idea di insicurezza, l’ossessione per i reati (specialmente se della casta), e promuovendo una pornografia del dolore: la vittima sbattuta in primo piano che reclama punizione, vendetta.
Lo scrigno offre molto di più: le riflessioni dell’Autore spaziano dall’irruzione novecentesca dei nuovi media (cinema, radio, televisione), all’avvento della cd. democrazia del leader; dalla comunicazione globale digitale, alle fake news; su su fino alla disciplina e al controllo sociale sperimentati nell’attuale emergenza pandemica, forieri di smantellamenti del processo e neutralizzazione dell’antagonismo della difesa.
Impossibile, per il recensore, darne compiuto conto. Uno scenario, però, reclama attenzione speciale: la carenza di adeguata protezione per i diritti fondamentali della persona sottoposta a processo, dinanzi alla diffusività raggiunta dalla comunicazione. Diffusività che ha da tempo stressato l’informazione sulla giustizia penale, facendo esplodere il conflitto tra libertà di manifestazione del pensiero e diritti della persona (onore, reputazione, ecc.). Nell’era dell’alleanza imbastita tra apparato giudiziario e mass media, che chiama i secondi a legittimare -dall’esterno- l’operato del primo, a soccombere è sempre e irrimediabilmente l’individuo.
21.02.21
[1] Forca e melassa, Mimesis edizioni collana Contesti, anno 2021.
[2] ETS edizioni, 2019.