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SPEDITEZZA DELLA PROCEDURA E COMPRESSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA NEL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – DI GUIDO COLAIACOVO

SPEDITEZZA DELLA PROCEDURA E COMPRESSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA NEL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – DI GUIDO COLAIACOVO

COLAIACOVO – SPEDITEZZA DELLA PROCEDURA E COMPRESSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA NEL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO.PDF

EUROPEAN ARREST WARRANT, SPEED OF THE PROCEDURE AND RIGHT TO DEFENCE

di Guido Colaiacovo*

Cass. pen., Sez. fer., 27 luglio 2021 (dep. 29 luglio 2021), n. 29895, Pres. Iasillo – Est. E Rel. Calvanese – P.M. De Masellis (conf.).

Mandato di arresto europeo – termine a difesa – concessione – rispetto dei termini per la decisione – necessità – conseguenze.

(art. 108; 178; 179; 180; 182 c.p.p.; l. 22 aprile 2005, n. 69)

In tema di mandato di arresto europeo, la concessione del termine a difesa deve essere correlata all’esigenza di rispettare i termini fissati per la decisione sulla richiesta di consegna (nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto congrua la concessione di un termine a difesa di un’ora per l’esame del mandato di arresto europeo pervenuto nella traduzione italiana il giorno stesso dell’udienza in quanto nello stesso giorno scadeva il termine per assumere la decisione sulla consegna). [massima redazionale]

RITENUTO IN FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Sassari disponeva la consegna, con la condizione del reinvio, di C. A., C. C. e P. R., richiesta dalle autorità giudiziarie francesi con mandato di arresto europeo al fine del loro perseguimento per i reati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, ostacolo alle funzioni pubbliche, di violazioni ambientali e in materia di pesca in area destinata a riserva naturale.
  2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli interessati, denunciando, a mezzo del comune difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge, in relazione al diritto di difesa e agli artt. 2 l. n. 69 del 2005, 111 Cost., 5 e 6 CEDU.

Fissata l’udienza per la decisione di consegna per il 16 giugno 2021, perveniva in cancelleria in pari data la traduzione in lingua italiana del m.a.e., fino a quel momento disponibile nella sola lingua francese. Veniva concessa alla difesa solo un’ora per l’esame dell’atto, così arrecando una sicura lesione al diritto di difesa dei ricorrenti, garantito dalle norme sopra richiamate.

2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 6 e 18-bis l. n. 69 del 2005 e 24 Cost.

Il m.a.e. è carente quanto alle informazioni necessarie previste dalla legge n. 69 del 2005. È scarsa ed inesistente in particolare la descrizione del fatto, anche con riferimento al luogo di commissione (c’è stato un inseguimento iniziato in acque francesi e il fermo dei ricorrenti è avvenuto in acque italiane) e al grado di partecipazione al reato da parte dei ricorrenti.

La Corte di appello era pertanto tenuta a richiedere informazioni aggiuntive al fine di stabilire l’applicabilità dell’art. 18-bis, comma 1, lett. a) l. n. 69 del 2005.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176 (così come modificato per il termine di vigenza dal dl. 10 aprile 2021, n. 44), in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito illustrate.

2. Quanto al primo motivo, va preliminarmente osservato che le cadenze temporali per il procedimento di consegna sono dettate dalla legge n. 69 del 2005, anche in particolare a seguito dell’intervento di riforma da parte del d.lgs. 2 febbraio 2021 n. 10, al fine di consentirne la conclusione entro i termini massimi previsti dalla decisione quadro 2002/584/GAI.

In particolare, la decisione sulla consegna da parte della Corte di appello deve essere emessa “nel più breve tempo possibile e, comunque, entro quindici giorni dall’esecuzione della misura cautelare di cui all’articolo 9 o, nel caso previsto dall’articolo 11, dall’arresto della persona ricercata” (art. 17, comma 2, l. n. 69 del 2005). Nella specie, l’arresto dei ricorrenti è avvenuto il 5 giugno 2021 e quindi il 16 giugno 2021 veniva a cadere il termine massimo previsto per l’emissione della decisione.

Quindi la concessione di un termine a difesa andava correlata all’esigenza di assicurare il rispetto delle suddette cadenze temporali.

In ogni caso, va rammentato che, secondo un principio già affermato da questa Corte, il diniego di termini a difesa può dar luogo ad una nullità a regime intermedio in forza della norma generale posta dall’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in quanto incidenti sull’assistenza dell’imputato, sempreché l’eccezione sia stata tempestivamente formulata (Sez. 2, n. 5773 del 10/01/2019, Rv. 275523).

Nella specie, dal verbale dell’udienza tenuta davanti alla Corte di appello risulta che la difesa dei ricorrenti non ha sollevato alcuna eccezione al termine fissato dalla Corte di appello.

  1. Il secondo motivo articola censure generiche e manifestamente infondate.

Quanto alla descrizione del fatto, la Corte di appello ha dato atto della compiuta descrizione delle condotte oggetto del m.a.e. compreso il grado di partecipazione (ovvero della commissione dei reati da parte dei ricorrenti in concorso tra loro) e il luogo di commissione (segnatamente, la riserva naturale francese delle Bocche di Bonifacio). Il mandato di arresto europeo conteneva invero la sufficiente descrizione delle indagini che avevano portato all’identificazione dei responsabili dei reati contestati in via cautelare.

In ogni caso, la difesa in ordine alla descrizione del fatto non ha evidenziato le lacune che non hanno consentito allo Stato italiano di esercitare i prescritti controlli sul mandato di arresto europeo e ai difensori conseguentemente di difendersi (in tema di completezza delle informazioni, tra le tante, Sez. 6, n. 8132 del 18/02/2015, Rv. 262805).

In ordine alla questione della giurisdizione, i ricorrenti non si confrontano con l’orientamento oramai consolidato di questa Corte, secondo cui l’art. 18-bis, comma 1, lett. a), l. n. 69 del 2005 prevede un’ipotesi di rifiuto facoltativo che richiede in ogni caso la sussistenza di indagini già avviate sul fatto oggetto del mandato di arresto europeo e sintomatiche dell’effettiva volontà dello Stato di affermare la propria giurisdizione (per tutte, Sez. 6, n. 5929 del 11/02/2020, Rv. 278329): su tale pregiudiziale e dirimente profilo di analisi i ricorrenti non hanno dedotto alcun elemento specifico.

  1. Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di rito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, I. n. 69 del 2005.

SPEDITEZZA DELLA PROCEDURA E COMPRESSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA NEL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO

EUROPEAN ARREST WARRANT, SPEED OF THE PROCEDURE AND RIGHT TO DEFENCE

L’Autore analizza criticamente la decisione della Suprema Corte, tenendo in considerazioni altri arresti simili che, alla luce della riforma del dato legislativo, comprimono eccessivamente l’esercizio del diritto di difesa della persona richiesta in consegna in forza di un mandato d’arresto europeo.

The Author critically analyses the decision of the Supreme Court: in light of other similar cases and of the new discipline, he underlines the sacrifice of the rights to defence of a person required by an European arrest warrant

Sommario: 1. Premessa. – 2. La decisione della Suprema Corte. – 3. (segue) altri arresti simili. – 4. Le nullità e il ruolo del difensore. – 5. Speditezza della procedura e diritto di difesa: un rapporto da rivedere.

  1. Premessa.

La legge italiana sul mandato d’arresto europeo è stata sottoposta, con il d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, a un radicale intervento di riforma, teso ad armonizzare la disciplina interna con le previsioni della decisione quadro 548/2002/GAI[1]. Si ricorderà, infatti, che la l. 22 aprile 2005, n. 69, fu bersaglio di vibranti critiche, sia per il ritardo con la quale fu varata, sia per le numerose divergenze rispetto alle indicazioni del legislatore europeo e i plurimi difetti strutturali[2].

Uno dei punti qualificanti della novella è la spaventosa contrazione dei tempi della procedura, necessaria allo scopo di permettere la sua definizione entro i limiti segnati dall’art. 17 della decisione quadro[3]. Un’accelerazione che, tuttavia, nel correggere la previgente formulazione[4], in più passaggi entra in rotta di collisione con il diritto di difesa.

Da questo punto di vista, la sentenza in rassegna è lo spunto per riflettere in chiave critica sulle conseguenze del nuovo assetto legislativo, ma anche sulla figura del difensore e del suo ruolo di garante dei diritti della persona richiesta in consegna.

  1. La decisione della Suprema Corte.

La Suprema Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione con la quale la corte d’appello ha concesso alle persone richieste in consegna un termine a difesa di appena un’ora per esaminare il mandato d’arresto europeo pervenuto nella traduzione in lingua italiana soltanto il giorno dell’udienza. Ai ricorrenti, che si dolevano del fatto che tale intervallo fosse insufficiente e non consentisse un esame adeguato dell’euromandato, la Corte ha replicato che la statuizione impugnata era corretta poiché il termine di quindici giorni per emettere la decisione spirava il giorno stesso dell’udienza[5] e, pertanto, il tempo concesso ai difensori doveva essere contingentato e calibrato su tale scadenza. Ciò posto, ha aggiunto che la censura era intempestiva: dalla violazione del diritto al termine a difesa deriva una nullità di ordine generale a regime intermedio e, nel caso di specie, l’eccezione non era stata prontamente proposta nel corso dell’udienza dinanzi alla corte d’appello[6].

La scelta di anteporre l’argomento dell’efficienza e della speditezza della procedura presta il fianco a una pluralità di obiezioni che non sarebbero sorte qualora si fosse data precedenza e rilievo assorbente al ben più solido e meno opinabile argomento della intempestiva deduzione del vizio.

Questo approccio, in altre parole, rende manifesto che la soluzione è sbilanciata in favore delle esigenze di celerità della cooperazione giudiziaria e non tiene nella giusta considerazione la contrapposta esigenza di assicurare alla persona richiesta in consegna il tempo per allestire la sua difesa.

Già a prima vista, ancorché l’euromandato sia un atto di forma e contenuti essenziali che può essere esaminato piuttosto rapidamente[7], la scelta di contenere la meditazione difensiva in un’ora non appare coerente con l’insegnamento secondo il quale il termine concesso deve essere congruo e deve consentire al difensore di “familiarizzare” con il fascicolo[8].

A tale osservazione si aggiunge che la richiesta del termine a difesa è scaturita da una violazione compiuta dalla autorità dello Stato membro di emissione che ha inoltrato il mandato d’arresto europeo in lingua francese, anziché in italiano, come vuole l’art. 6, comma 7[9]. Un inadempimento grave[10], che, al pari del fatto che la traduzione era pervenuta soltanto il giorno dell’udienza, non doveva ridondare a discapito delle persone richieste in consegna[11]. Tali circostanze, piuttosto, avrebbero consentito di addebitare il superamento dei termini per la decisione, causato dalla concessione di una dilazione maggiore, alla responsabilità dello Stato membro di emissione. In altre parole, ricorreva una situazione che avrebbe consentito una proroga ai sensi dell’art. 17, comma 2-bis.

D’altro canto, l’inquadramento della vicenda in una dimensione efficientista delinea un’ulteriore incongruenza. Ricostruendo lo svolgimento del processo, alla luce delle informazioni contenute nella sentenza, si evince che sono stati ugualmente superati i termini fissati dalla legge e che soltanto il giudizio dinanzi alla corte d’appello si è concluso – ma con il sacrificio dei diritti difensivi – nei limiti prescritti. Il giudizio di legittimità, diversamente, si è protratto ben oltre quanto consentito poiché tra la decisione impugnata e la conclusione del giudizio di legittimità sono trascorsi quarantuno giorni. Un periodo breve ma comunque superiore a quello fissato dalla legge[12].

Non interessa individuare il momento nel quale il meccanismo si è incagliato ovvero chiarire se la responsabilità del ritardo sia da attribuirsi alla cancelleria del giudice a quo piuttosto che del giudice ad quem, ciò che rileva è che un approccio tanto arcigno nei riguardi della difesa perde qualsiasi giustificazione nel momento in cui la macchina processuale si ingolfa per motivi di carattere burocratico-amministrativo, determinati dalla farraginosità dei rapporti tra gli uffici. Ritardi che, peraltro, avvengono nonostante l’inserimento nella legge di recepimento dell’art. 27-bis che ora accorda alle cancellerie la possibilità di trasmettere gli atti in via telematica[13].

  1. (segue) altre questioni problematiche.

Comparata con altri arresti, la sentenza in rassegna permette di scorgere nella giurisprudenza di legittimità un’impostazione interpretativa che, pur di concludere rapidamente la procedura, realizza una eccessiva compressione dei diritti della difesa.

È una tendenza che si percepisce, ad esempio, quando si nega il rinvio dell’udienza per l’adesione del difensore all’astensione proclamata dalla sua categoria professionale[14] o quando si esclude il rispetto di un termine di preavviso per comunicare al difensore la fissazione dell’udienza di convalida dell’arresto[15] e che si palesa ancor più chiaramente in altre decisioni che, purtroppo, hanno segnato un vistoso arretramento delle tutele rispetto ad altri precedenti.

In quest’ultima prospettiva, è paradigmatico l’improvviso ripensamento sulle modalità di deposito del ricorso. Se, infatti, per alcuni anni non era controversa l’applicabilità degli artt. 582 e 583 c.p.p. e si ammettevano il deposito presso la cancelleria del giudice di pace o del tribunale presso il quale si trova il difensore e l’invio a mezzo raccomandata dell’impugnazione[16], recentemente si è registrata una brusca inversione di marcia e si è improvvisamente consolidato, sempre in nome dell’esigenza di rispettare i tempi dettati dalla decisione quadro, un indirizzo secondo il quale l’impugnazione, a pena di inammissibilità, deve essere presentata presso la cancelleria del giudice che ha emesso l’atto[17]. Una rivisitazione opinabile, imprevedibile e dagli effetti dirompenti. Il cambio di direzione, infatti, poggia su una lettura non condivisibile degli artt. 22 e 39, non era stato in alcun modo preannunciato e ha avuto come conseguenza pratica un impressionante numero di declaratorie di inammissibilità.

La preoccupazione per la sorte dei diritti della difesa che origina da questi approcci è acuita dal presagio che proprio la riforma del testo legislativo possa determinare la proliferazione di letture restrittive su ogni versante della procedura[18]. La speditezza della procedura e l’invito a trattare un euromandato con la massima celerità ora compaiono tra le disposizioni fondamentali, nel comma 3-bis dell’art. 1, mentre in altre parti del testo di legge sono disseminate altre previsioni problematiche per la posizione della persona richiesta in consegna. È il caso, fra tutte, dell’art. 22, comma 5-bis, che, nel regolare il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza assunta a seguito di consenso alla consegna da parte dell’interessato, dispone che l’impugnazione, da depositare nel termine giugulatorio di tre giorni[19], sia decisa dalla Suprema Corte entro sette giorni dalla ricezione degli atti, sentito il procuratore generale, all’esito di una camera di consiglio non partecipata. In chiave critica, deve notarsi che non è prevista né la comunicazione alle parti della fissazione dell’udienza, né la possibilità di presentare memorie per interloquire in via cartolare e che l’esplicita esclusione dell’intervento dei difensori può realizzare uno squilibrio nell’ottica del contraddittorio soprattutto qualora ad aver impugnato l’ordinanza sia stato il procuratore generale. È insomma una norma palesemente contraria allo spirito e al dettato dell’art. 111 Cost., difficilmente recuperabile in via di esegesi, dalla quale traspare un atteggiamento di profondo disinteresse del legislatore per la tutela del destinatario di un euromandato.

  1. Le nullità e il ruolo del difensore.

La sentenza, come anticipato, non avrebbe destato tante perplessità se, con un percorso più breve, avesse respinto il motivo di ricorso incentrando la ratio decidendi sulla tardività dell’eccezione.

Invero, il principio secondo il quale il vizio derivante dalla violazione del diritto a ottenere un termine a difesa si colloca nel perimetro delle nullità generali a regime intermedio[20] è ormai pacifico e, soprattutto, a prescindere dalla stabilità dell’orientamento che lo enuncia, appare coerente con il dato normativo. La concessione di un periodo di tempo per consentire al difensore di prendere confidenza con il procedimento, infatti, è riconducibile all’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., nella misura in cui assicura l’assistenza tecnica dell’imputato, ma la violazione non è inquadrabile nelle ipotesi di nullità assoluta indicate dall’art. 179, comma 1, c.p.p., poiché non attiene alla citazione dell’imputato, né alla presenza del difensore, e neppure si presta a configurare una più tenue nullità relativa, considerati gli interessi ai quali offre riparo.

Questa tipologia di nullità richiede tuttavia molta cautela poiché il suo trattamento nasconde alcune insidie: se, in linea generale e secondo quanto dispone l’art. 180 c.p.p., il vizio può essere dedotto in tempi piuttosto ampi, tale soglia, ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p. arretra qualora l’atto pregiudizievole sia stato compiuto in presenza della parte, con la conseguenza che l’eventuale inerzia dell’interessato produce «ineluttabilmente la sanatoria della nullità»[21].

Quest’ultima ipotesi, laddove esige una particolare diligenza, dischiude una diversa prospettiva di indagine sulla sentenza in rassegna che pone l’accento proprio sul contegno del difensore. La pronta deduzione della nullità, infatti, richiede attitudine a diagnosticare velocemente la patologia, prontezza di riflessi nell’articolare l’eccezione e nel pretendere che della stessa resti traccia nel verbale d’udienza, costanza nel coltivare la questione in un eventuale grado di impugnazione[22]. E tali doti sono vieppiù necessarie laddove le procedure, come nel mandato d’arresto europeo, sono connotate da ritmi serratissimi.

Se quindi si osserva la vicenda processuale da questa visuale, si percepisce quanto sia importante il ruolo di garante dei diritti della persona richiesta in consegna affidato al difensore, che, dinanzi a tendenze interpretative che comprimono i suoi margini di manovra, non può permettersi alcuna distrazione.

  1. Speditezza della procedura e diritto di difesa: un rapporto da ripensare.

Legislatore e giurisprudenza hanno dimostrato di volersi adeguare con particolare zelo alla prescrizione contenuta nell’art. 17 della decisione quadro, conformando la struttura della procedura di consegna e l’interpretazione delle disposizioni che la compongono all’obiettivo di trattare gli euromandati con la massima urgenza.

La situazione appena descritta impone allora di sperimentare la compatibilità con la Costituzione di un simile assetto e, poi, verificare la sua effettiva necessità e utilità.

Speditezza ed efficienza della procedura non sono valori assoluti, ma sono strumentali alla realizzazione del giusto processo, e in questa dimensione devono pertanto essere coordinati ed eventualmente cedere il passo dinanzi ad altri diritti che pure appartenendo al medesimo contesto hanno maggiore rilevanza[23]. Tra questi figura il diritto di difesa e la tutela della libertà personale, entrambi interessati da una richiesta di consegna formulata sulla base di un euromandato.

Non c’è dubbio che la volontà di introdurre un sistema più rapido e meno complicato per la cooperazione giudiziaria in ambito europeo potesse giustificare la significativa riduzione dell’oggetto della procedura e la semplificazione delle scansioni procedurali realizzate con la novella. Ma una ristrutturazione in questo senso, in ossequio al principio di adeguatezza[24], avrebbe comunque dovuto tener conto dell’intangibilità del nucleo essenziale dei diritti della persona richiesta in consegna.

Del resto, ancorché il vaglio giudiziale sull’euromandato sia stato depurato delle previsioni che introducevano controlli diversi e più incisivi rispetto a quelli consentiti dal legislatore europeo, la decisione sulla consegna può esigere ancora approfondimenti e valutazioni non semplici, né istantanei in quanto possono richiedere un approvvigionamento di materiale probatorio cospicuo[25] o non immediatamente disponibile[26].

Dunque, dinanzi a un simile sacrificio delle prerogative difensive, neppure il principio del mutuo riconoscimento, che spesso e a ragione è evocato per giustificare talune opzioni legislative in maniera di cooperazione[27], potrebbe escludere una frizione con gli artt. 24 e 111 Cost.

Si delinea così un contrasto che, comunque, può essere ricondotto nel perimetro della legittimità costituzionale elaborando letture che, nel districarsi tra le strettissime maglie procedimentali, non restringano ulteriormente il campo d’azione della difesa, ma piuttosto ne tutelino i confini[28].

Ma la vicenda affrontata dalla Suprema Corte induce a dubitare anche dell’effettiva utilità di esasperate contrazioni dei tempi procedimentali, che potrebbero creare difficoltà anche alle autorità giudiziarie nella gestione del rapporto di cooperazione. Quanto accaduto, infatti, desta il sospetto che la brevità dei termini procedurali, paradossalmente, anziché agevolare, possa ostacolare e quindi rallentare il corso della cooperazione. Tempi tanto serrati, infatti, complicano la comunicazione tra autorità giudiziarie, esposta al pericolo – concretamente realizzatosi nel caso di specie – che l’inoltro di informazioni integrative pervenga in limine litis, se non addirittura intempestivamente, impedendo che non soltanto le parti, ma anche i giudici possano approfondirne la conoscenza.

*Avvocato, ricercatore di diritto processuale penale nell’Università di Foggia

[1] In tema, M. Bargis, Meglio tardi che mai. Il nuovo volto del recepimento della decisione quadro relativa al m.a.e. nel d.lg. 2-2-2021, n. 10: una prima lettura, in www.sistemapenale.it, e V. Picciotti, La riforma del mandato di arresto europeo. Note di sintesi a margine del d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, in www.lalegislazionepenale.it, nonché, volendo, G. Colaiacovo, La nuova disciplina del mandato d’arresto europeo tra esigenze di semplificazione della procedura e tutela del diritto di difesa, in Dir. pen. e proc., 2021, p. 868.

[2] Per un quadro di sintesi su questo aspetto, M. R. Marchetti, voce Mandato d’arresto europeo, in Enc. dir., Annali, vol. II, t. 1, Giuffrè, 2008, p. 540 e ss., nonché M. Bargis, Libertà personale e consegna, in R. E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, IV ed., Giuffrè, 2019, p. 408.

[3] Precisamente, tale previsione esige che un mandato d’arresto europeo sia trattato con la massima urgenza e pretende che la decisione sulla consegna sia assunta entro 60 giorni dall’arresto del ricercato, eventualmente prorogati di ulteriori 30 giorni in casi particolari. Il termine per la decisione è, invece, di 10 giorni, sempre prorogabili di ulteriori 30 giorni, nel caso in cui l’interessato presti il proprio consenso alla consegna.

[4] Il difetto principale di tale disciplina consisteva nel fatto che i termini indicati dal legislatore europeo potevano essere integralmente consumati dalla corte d’appello (per tutti, G. De Amicis – G. Iuzzolino, Guida al mandato d’arresto europeo, Giuffrè, 2008, p. 53).

[5] A ben vedere, l’affermazione appare viziata quantomeno da un errore materiale: l’art. 11 prevede che la decisione sulla consegna sia assunta entro quindici giorni dall’arresto e, pertanto, se la cattura dei ricercati, come si legge in sentenza, è avvenuta il 5 giugno 2021, tale termine sarebbe scaduto non già il 16, ma il 21 giugno 2021 (essendo il 20 giugno domenica).

[6] Qui la Corte richiama il precedente di Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2019, n. 5773, in C.E.D. Cass., n. 275523 e segue un indirizzo pacifico nella giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, 5 febbraio 2020, n. 13401, in C.E.D. Cass, n. 278823).

[7] L’art. 3 del d.lgs. 10 febbraio 2021, n. 10, ha infatti eliminato i requisiti formali ulteriori rispetto a quelli contemplati dalla decisione quadro, escludendo l’allegazione di atti e documenti originariamente richiesti dall’art. 6 (in tema, G. Colaiacovo, op. cit., p. 870).

[8] In questo senso, da ultimo, Cass. pen., Sez. III, 22 dicembre 2017, n. 24979, in C.E.D. Cass., n. 273525. La previsione del termine a difesa, come sottolineano A. Camon – C. Cesari – M. Daniele – M. L. Di Bitonto – D. Negri – P. P. Paulesu, Fondamenti di procedura penale, II ed., Cedam, 2020, p. 222, costituisce estrinsecazione del diritto, consacrato nell’art. 111, comma 3, Cost., di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa.

[9] Si tratta di una opzione normativa che, pur criticata dalla dottrina (A. Perduca, sub art. 6, in M. Chiavario – G. De Francesco – D. Manzione – E. Marzaduri (a cura di), Il mandato di arresto europeo. Commento alla legge 22 aprile 2005 n. 69, Utet, 2006, p. 118), è perfettamente coerente con la decisione quadro il cui art. 8, comma 2, prevede che il mandato d’arresto europeo sia tradotto nella lingua ufficiale dello Stato membro di esecuzione.

[10] Come sottolineano G. De Amicis – G. Iuzzolino, op. cit., p. 29, richiamando Cass. pen., Sez. VI, 20 marzo 2007, n. 17306, in Cass. pen., 2008, p. 3768, in caso di mancata traduzione, il mandato d’arresto europeo è tamquam non esset, posto che la disponibilità materiale di un atto non intellegibile, quale è quello scritto in lingua straniera non nota al giudicante, equivale alla sua mancata allegazione.

[11] Nell’istanza difensiva, pertanto, non poteva neppure intravedersi un abuso del diritto, condotta che la Suprema Corte, con una controversa decisione, ha sostenuto immeritevole di tutela (Cass. pen., S.U., 29 settembre 2011, n. 155, in Cass. pen., 2012, p. 2410, con nota F. Caprioli, Abuso del diritto di difesa e nullità inoffensive; in tema, G. Spangher, voce Abuso del processo (diritto processuale penale), in Enc. dir., Annali, vol. IX, Giuffrè, 2016, p. 1).

[12] Stando alle nuove previsioni, infatti, il segmento di impugnazione dovrebbe concludersi in meno di venti giorni: il ricorso deve essere depositato entro cinque giorni dalla conoscenza legale della sentenza; la corte d’appello è tenuta a trasmettere gli atti con precedenza assoluta su ogni altro affare e, comunque, entro il giorno successivo; la Suprema Corte, a sua volta, deve decidere entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, depositando la motivazione contestualmente ovvero non oltre il secondo giorno dalla pronuncia (sulle nuove scansioni della procedura di consegna, sia ancora consentito il rinvio a G.  Colaiacovo, op. cit., p. 874).

[13] Anche qui, criticamente, si è osservato che un’apertura all’utilizzo di simili strumenti da parte della difesa avrebbe reso meno gravoso l’esercizio dell’ufficio difensivo, soprattutto in materia di impugnazioni (G.  Colaiacovo, op. cit., p. 876).

[14] Cass. pen., Sez. VI, 29 maggio 2017, n. 27482, in Guida dir., 2017, n. 26, p. 70.

[15] Cass. pen., Sez. VI, 8 gennaio 2021, n. 7025, in C.E.D. Cass., n. 280633.

[16] Cass. pen., Sez. fer., 9 agosto 2011, n. 31875, in Cass. pen., 2012, p. 3013.

[17] Ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 23 luglio 2020, n. 22819, in C.E.D. Cass., n. 280147.

[18] È emblematica la modifica dell’art. 22 con la quale il legislatore ha deciso di allinearsi all’orientamento giurisprudenziale appena richiamato: è espressamente previsto che il ricorso deve essere presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, mentre la previgente formulazione non conteneva alcuna precisazione al riguardo.

[19] Il termine è quasi identico a quello di ventiquattro ore previsto dall’art. 30-ter, l. 26 luglio 1975, n. 354, dichiarato illegittimo da C. cost., 12 giugno 2020, n. 113, in Giur. cost., 2020, p. 1259, con nota di R. Adorno, Il termine per il reclamo in materia di permessi premio tra “rime obbligate” e “soluzioni già esistenti nel sistema”. In tale occasione, la Corte costituzionale ha sottolineato come la brevità del termine fosse ingiustificatamente pregiudizievole rispetto all’effettività del diritto di difesa ed ha posto in evidenza le conseguenti difficoltà per l’interessato di articolare compiutamente nell’impugnazione gli specifici motivi in fatto e in diritto e di ottenere in un così breve lasso di tempo l’assistenza tecnica di un difensore. Argomenti che assumono un significato ancor più pregnante in relazione al giudizio di legittimità, nel quale la complessità dell’opera di redazione motivi è più elevata ed è imprescindibile l’intervento del difensore per la presentazione del ricorso.

[20] Su tale peculiare categoria di nullità, che si pone a cavallo tra le nullità assolute e le nullità relative, A. Camon – C. Cesari – M. Daniele – M. L. Di Bitonto – D. Negri – P. P. Paulesu, op. cit., p. 260.

[21] Così, A. Camon – C. Cesari – M. Daniele – M. L. Di Bitonto – D. Negri – P. P. Paulesu, op. cit., p. 261, che precisano come la parte che non si attivasse tempestivamente non potrebbe più censurare la patologia, ma al più sollecitare il giudice a rilevarla d’ufficio.

[22] Come segnalano A. Camon – C. Cesari – M. Daniele – M. L. Di Bitonto – D. Negri – P. P. Paulesu, op. cit., p. 261, resta tuttora aperta la questione della cosiddetta perpetuatio nullitatis ovvero il quesito se la nullità, tempestivamente dedotta dalla parte, ma non dichiarata dal giudice, risulti automaticamente devoluta al giudice dell’impugnazione, ancorchè non riproposta con i relativi motivi.

[23] In questo senso, si può ricordare che Corte costituzionale, con riguardo al rapporto tra durata ragionevole del processo e compiuto esercizio del diritto di difesa, ha affermato che «un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata» (C. cost., 4 dicembre 2009, n. 317, in Giur. cost., 2009, p. 4747).

[24] Secondo tale principio, nella definizione che ne dà Foschini, Sistema del diritto processuale penale, II ed., Giuffrè, 1968,p. 8, le forme del rito si “adeguano” alla «importanza dei risultati e quindi alla rilevanza della fattispecie costituente materia, in funzione della gravità delle conseguenze che possono derivarne».

[25] È il caso del residente che intenda dimostrare il suo radicamento in Italia al fine di scontare la pena nel nostro Stato ai sensi degli artt. 18-bis, comma 2 o dell’art. 19, comma 1, lett. b). In un lasso brevissimo, costui dovrà raccogliere tutti i documenti necessari a dimostrare la sussistenza dei requisiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità (in tema, Cass. pen., Sez. VI, 14 aprile 2016, n. 15887, in Dir. pen. e proc., 2017, p. 65, con nota di S. Michelagnoli, Il radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in tema di mandato d’arresto europeo).

[26] È il caso, questa volta, della persona condannata in assenza che, ai sensi dell’art. 18-ter, comma 3, chieda di ottenere copia della sentenza. Qui il legislatore ha espressamente previsto che una richiesta in questo senso non può mai costituire motivo di differimento della procedura o dell’esecuzione della decisione favorevole alla consegna (criticamente, G. Colaiacovo, op. cit., p. 874).

[27] Nel senso che tale principio può legittimare significative compressioni anche del diritto di difesa, come avviene ad esempio per l’esclusione del rimedio del riesame per impugnare i provvedimenti in materia di libertà personale, G. Colaiacovo, Il sistema delle misure cautelari nel mandato d’arresto europeo. La tutela della libertà personale nella procedura di consegna, Cedam, 2019, p. 169.

[28] Una significativa apertura in questo senso si scorge in Cass. pen., Sez. VI, 6 maggio 2021, n. 18124, in C.E.D. Cass., n. 281271, e in corso di pubblicazione in Cass. pen., con nota di G. Colaiacovo, Appunti sulle prime applicazioni della nuova disciplina del mandato d’arresto europeo, che ha chiarito come le serrate cadenze procedurali introdotte non possano soffocare la procedura e sia consentita l’acquisizione delle informazioni indispensabili per la decisione (nel caso di specie, si trattava delle informazioni necessarie ad escludere il rischio di una detenzione in condizioni contrarie all’art. 3 C.E.D.U.).